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Stretching: Sì o No? E perché?
21 settembre 2020
Lo stretching è uno degli argomenti più dibattuti nell’ambito sportivo. Questo perché, spesso, non è chiara né ben oggettivabile la fisiologia muscolare e gli effetti che può avere. In passato e tutt’ora, ci sono molti “allenatori” di vari sport, che sono contrari allo stretching e non educano gli atleti, soprattutto i più giovani, a farne uso né pre- né post- attività specifica. Questo probabilmente perché la comunità scientifica in passato era all’oscuro di molteplici attività fisiologiche ed effetti dello stretching.
Per affrontare in modo chiaro l’argomento è necessario un breve accenno di anatomia e fisiologia. La muscolatura scheletrica è di tipo striato, per quasi la totalità sotto controllo neurologico volontario. Lo sport pretende contrazioni muscolari (accorciamento) e rilascio muscolare (allungamento). Intensità elevate e l’attività prolungata nel tempo producono molte sostanze di scarto da parte del tessuto muscolare (cataboliti) e producono delle microlesioni benigne delle fibre muscolari. I recettori sensitivi delle fibre muscolari interessanti per l’argomento trattato sono: i fusi neuromuscolari (recettori di stiramento, stimolano riflessi di contrazione per evitare un allungamento eccessivo delle fibre muscolari) e gli organi tendinei del Golgi (recettori di tensione, stimolano riflessi di rilascio della contrazione muscolare sotto forti stress).
Tornando allo stretching, ne esistono due tipologie: lo stretching statico e lo stretching dinamico.
Lo stretching statico è la pratica più conosciuta e diffusa, ovvero, è quella che prevede il raggiungimento progressivo di posizioni che mettono in allungamento un gruppo muscolare, questa posizione viene mantenuta per un determinato lasso di tempo.
Lo stretching dinamico invece, è caratterizzato da movimenti attivi e ripetuti che vanno ad ampliare la mobilità articolare attraverso l’allungamento delle fibre muscolari. Quest’ultima viene inconsapevolmente usata da qualsiasi atleta, agonista e non, come riscaldamento all’attività sportiva.
Approfondiamo lo stretching statico, perché se non eseguito correttamente risulta addirittura nocivo per gli atleti. Lo stretching statico ha molte caratteristiche, di cui non viene tenuto conto sufficientemente, soprattutto a livello amatoriale, e sono: l’intensità, la durata, la durata dell’intervallo di pausa e il numero di ripetizioni.
Qual’è l’intensità corretta? Indipendentemente dal metodo di stretching in uso, l’intensità necessaria all’allungamento muscolare non deve mai arrivare a provocare dolore. Il dolore ci informa di un allungamento eccessivo delle fibre muscolari, e di conseguenza l’attivazione dei fusi neuromuscolari che provocano un riflesso neurologico che va ad accorciare la fibra in allungamento. Perciò lo stretching risulta essere controproduttivo.
Qual’è la durata corretta? A questa domanda 20 fisioterapisti/medici risponderebbero in 20 modi diversi. Ci sono molti studi al riguardo, ma nessuno fornisce dati universalmente accettati.
Lo stretching deve essere ripetuto con intervalli di tempo standard, e quali sono? Molti atleti, soprattutto quelli amatoriali, tendono a eseguire soltanto una ripetizione di stretching statico, questo a livello muscolare provoca solo un allungamento forzato delle fibre che conduce allo stesso esito di intensità di allungamento troppo elevate. Gli intervalli di tempo tra una ripetizione e l’altra danno modo alle fibre sia muscolari che nervose di assecondare le richieste di allungamento, e inoltre, la messa in tensione intervallata funge da risucchio per tutti quei cataboliti che circondano le fibre muscolari e che verrano poi smaltiti nel sangue venoso.
In conclusione lo stretching risulta essere caratterizzato da fattori soggettivi, ma fondamentale per qualsiasi atleta.
L’intensità giusta è percepita dall’atleta poco prima di provare dolore, la durata che stimola in modo appropriato l’allungamento muscolare si aggira intorno ai 20 secondi, gli intervalli di pausa devono essere minori degli intervalli di messa in tensione (10 secondi circa), il numero di ripetizioni dovrebbe essere almeno 4.
Qualsiasi gesto atletico coinvolge molti gruppi muscolari, perciò qualsiasi attività sportiva venga praticata, la sessione di stretching deve coinvolgere tutti i i muscoli.
Lo stretching quindi aiuta a mantenere elastici e reattivi i muscoli e le articolazioni, fungendo da aiuto nell’attività sportiva e da strumento efficace per la prevenzione di infortuni. Dunque, accelera il recupero fisico grazie allo smaltimento dei cataboliti.
A cura del Dott. Mario Capotosto
Per i più curiosi:
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26701828/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/25010018/
Dott. Mario Capotosto
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/25164268/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31987558/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31987548/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32028461/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31984621/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32148642
Per affrontare in modo chiaro l’argomento è necessario un breve accenno di anatomia e fisiologia. La muscolatura scheletrica è di tipo striato, per quasi la totalità sotto controllo neurologico volontario. Lo sport pretende contrazioni muscolari (accorciamento) e rilascio muscolare (allungamento). Intensità elevate e l’attività prolungata nel tempo producono molte sostanze di scarto da parte del tessuto muscolare (cataboliti) e producono delle microlesioni benigne delle fibre muscolari. I recettori sensitivi delle fibre muscolari interessanti per l’argomento trattato sono: i fusi neuromuscolari (recettori di stiramento, stimolano riflessi di contrazione per evitare un allungamento eccessivo delle fibre muscolari) e gli organi tendinei del Golgi (recettori di tensione, stimolano riflessi di rilascio della contrazione muscolare sotto forti stress).
Tornando allo stretching, ne esistono due tipologie: lo stretching statico e lo stretching dinamico.
Lo stretching statico è la pratica più conosciuta e diffusa, ovvero, è quella che prevede il raggiungimento progressivo di posizioni che mettono in allungamento un gruppo muscolare, questa posizione viene mantenuta per un determinato lasso di tempo.
Lo stretching dinamico invece, è caratterizzato da movimenti attivi e ripetuti che vanno ad ampliare la mobilità articolare attraverso l’allungamento delle fibre muscolari. Quest’ultima viene inconsapevolmente usata da qualsiasi atleta, agonista e non, come riscaldamento all’attività sportiva.
Approfondiamo lo stretching statico, perché se non eseguito correttamente risulta addirittura nocivo per gli atleti. Lo stretching statico ha molte caratteristiche, di cui non viene tenuto conto sufficientemente, soprattutto a livello amatoriale, e sono: l’intensità, la durata, la durata dell’intervallo di pausa e il numero di ripetizioni.
Qual’è l’intensità corretta? Indipendentemente dal metodo di stretching in uso, l’intensità necessaria all’allungamento muscolare non deve mai arrivare a provocare dolore. Il dolore ci informa di un allungamento eccessivo delle fibre muscolari, e di conseguenza l’attivazione dei fusi neuromuscolari che provocano un riflesso neurologico che va ad accorciare la fibra in allungamento. Perciò lo stretching risulta essere controproduttivo.
Qual’è la durata corretta? A questa domanda 20 fisioterapisti/medici risponderebbero in 20 modi diversi. Ci sono molti studi al riguardo, ma nessuno fornisce dati universalmente accettati.
Lo stretching deve essere ripetuto con intervalli di tempo standard, e quali sono? Molti atleti, soprattutto quelli amatoriali, tendono a eseguire soltanto una ripetizione di stretching statico, questo a livello muscolare provoca solo un allungamento forzato delle fibre che conduce allo stesso esito di intensità di allungamento troppo elevate. Gli intervalli di tempo tra una ripetizione e l’altra danno modo alle fibre sia muscolari che nervose di assecondare le richieste di allungamento, e inoltre, la messa in tensione intervallata funge da risucchio per tutti quei cataboliti che circondano le fibre muscolari e che verrano poi smaltiti nel sangue venoso.
In conclusione lo stretching risulta essere caratterizzato da fattori soggettivi, ma fondamentale per qualsiasi atleta.
L’intensità giusta è percepita dall’atleta poco prima di provare dolore, la durata che stimola in modo appropriato l’allungamento muscolare si aggira intorno ai 20 secondi, gli intervalli di pausa devono essere minori degli intervalli di messa in tensione (10 secondi circa), il numero di ripetizioni dovrebbe essere almeno 4.
Qualsiasi gesto atletico coinvolge molti gruppi muscolari, perciò qualsiasi attività sportiva venga praticata, la sessione di stretching deve coinvolgere tutti i i muscoli.
Lo stretching quindi aiuta a mantenere elastici e reattivi i muscoli e le articolazioni, fungendo da aiuto nell’attività sportiva e da strumento efficace per la prevenzione di infortuni. Dunque, accelera il recupero fisico grazie allo smaltimento dei cataboliti.
A cura del Dott. Mario Capotosto
Per i più curiosi:
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26701828/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/25010018/
Dott. Mario Capotosto
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/25164268/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31987558/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31987548/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32028461/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31984621/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32148642
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